Da Campo Felice al monte Cagno, attraversando lo Sperone della Cavigliara

Due balconi panoramici come pochi, col favore di una giornata sfavillante gli orizzonti erano lontani come se non ci fosse una fine.
Pochissima neve, il sole caldo ha scongiurato la presenza di ghiaccio, la traversata è diventata una lunga passeggiata con molti tratti fuori sentiero. Indimenticabili i panorami che abbiamo goduto dalle due cime che abbiamo toccato e poi la croce del Cagno ... io sono contrario alle croci in vetta ma a questa no, semplice e nello stesso tempo solida e possente, sembra un tutt'uno con la montagna stessa.


Non c’è confusione e l’affollamento dei momenti migliori, la neve scarseggia, meglio, manca quasi del tutto, gli impianti sciistici di Campo Felice sono aperti solo su pochissime piste e quelle più a valle, poca gente ancora; parcheggio nei pressi della rotonda prima dell’imbocco della galleria per i Piani delle Rocche, il termometro del cruscotto segna un clamoroso -12°. Ci prepariamo riscaldati dal tepore dei raggi del sole, non sembra nemmeno di stare all’interno di un congelatore; attraversiamo la strada deserta e ci inoltriamo nella piana di Campo Felice per andare ad imboccare la lunga brecciata che sale verso Forcamiccia, la marcata sella tra i profili del Cefalone e della Serralunga. A contraddire le basse temperature il sottile strato di neve sulla piana è polveroso, solo gli sfavillanti cristalli di ghiaccio sugli esili e arsi steli dell’erba le fanno ricordare, sono gli ultimi momenti di uno stato che il sole sta già trasformando in gocce brillanti di rugiada, destinate a scivolare le une sulle altre e presto a cadere per via della gravità. Ero certo che se mi fossi fermato ad osservare quel mondo congelato avrei potuto assistere all’evolvere di un capitolo di vita che su questa piana è consuetudine giornaliera. Un po’ in ombra e per più lunghi momenti già al sole, qualche tratto invaso da neve e qualcuno scoperto, raggiungiamo la sella (+ 40 min.) senza problemi, i ramponi rimangono nello zaino a gravare sulle nostre spalle. Due stretti tornanti ci portano sul valico, lasciano dietro la piana e l’eco delle auto che scorrono, ancora poche, nella fettuccia d’asfalto che la taglia. Esattamente al centro della sella nei pressi di un piccolo masso isolato, si stacca sulla sinistra il sentiero che sale verso valle Cannavine e l’Ocre, la poca neve copre la traccia e la bandierina segnaletica, distratti dalla seconda palina che indica la discesa verso Rocca di Mezzo lo manchiamo e solo quando si prende a scendere marcatamente dentro la valle successiva ci rendiamo conto di aver mancato l’imbocco giusto; tagliando per il pendio in salita recuperiamo facilmente la traccia, non è esattamente il sentiero, gli scorre quasi parallelo un po’ più in basso ma tra bassi ginepri e qualche rada boscaglia lo utilizziamo per tagliare il versante e raggiungere comunque agevolmente la stretta valle che chiude la dorsale della Cavigliara. Era in programma di toccare la vetta che sovrasta questo versante, gli arriviamo praticamente sotto, dove la valle si andava facendo più stretta e ripida e per questo colma di neve; per evitarla non restava che trovare una linea di salita più diretta verso la cresta e senza patire troppo ci siamo ritrovati sulla panoramicissima dorsale dello Sperone della Cavigliara (+1,10 ore), spostati di circa duecento metri a Sud rispetto alla sua vetta principale ma su un vero terrazzo che si apriva ad una vista meravigliosa sugli altipiani delle Rocche, sul costone del Sirente fino alla sfavillante muraglia della Majella. Una vera sorpresa questa secondaria cima, si confonde tra le tante dell’altopiano tra il Cefalone e l’Ocre, ma gode di una posizione davvero di privilegio sull’altopiano delle Rocche, restituisce una vista davvero potente e avvolgente. Scorriamo sulla piccola dorsale verso Nord, diverse minime elevazioni più o meno alla stessa altezza, a nulla serve un piccolo cippo in cemento sulla penultima, si confonde tra le rocce e tanto basta (forse) per non dare garanzia e sancire l’elevazione massima, ad una manciata di metri sull’elevazione successiva un omino di pietre attribuisce la quota 1930m, “ufficializzata” dal solito grafomane di turno. I venti dei giorni precedenti hanno spolverato la dorsale ma basta scendere di pochi metri per ritrovarsi nella neve, poca, polverosa, ma tanto basta a salvare l’onore di questo avulso Febbraio. Direzione monte Cagno, saliremo lungo il fianco della montagna che abbiamo alla nostra destra, lassù in cima, sicuramente un po’ oltre la linea dell’orizzonte, da qualche parte ci sarà la sua vetta. Scoperto dalla neve e un po’ no, sembra una condizione ormai primaverile, pendenza costante, senza un sentiero da seguire e quindi per vie logiche, a parte gli orizzonti che si andranno lentamente a scoprire sappiamo già che sarà una monotona salita; scendiamo sul fianco sinistro dello sperone, una sella poco più a Nord della vetta ci aiuta ad arrivare nella piccola valle sottostante, utilizziamo una traccia di chi ci ha preceduto, sotto il leggero strato di neve farinosa c’è ghiaccio ma la pendenza è minima come corta sarebbe l’eventuale scivolata, qualche passo guardingo e non c’è bisogno di indossare i ramponi; dura poco il piano, prendiamo a salire la lunga pagina inclinata che ci sembra senza fine e di cui, ne siamo certi, quella che ci appare come la linea dell’orizzonte altro non è che l’illusione della cresta principale che sarà molto più in là. Tanti i tornanti che ci inventiamo per alleggerire la salita, incrociamo ogni tanto le tracce di chi ci ha preceduto, incuriosisce l’insolita coincidenza sull’insolito itinerario; ottimizziamo il più possibile le pendenze, ogni minima dorsale è nostra alla ricerca di tratti scoperti da neve, non siamo propriamente in forma, la salita ci sfianca ma come si dice non molliamo, contribuisce a spezzarci l’entusiasmo anche il sole battente ormai a picco e la mancanza assoluta di vento, come avevamo immaginato quello che da sotto ci è sembrato il limite della dorsale altro non è che un cambio di pendenza che almeno si attenua e non è poco. Riprendiamo forza, finalmente riprende a girare un po’ di ventilazione fresca, ci sferza un pò, sono quelle sensazioni che ti fanno sentire imminente la vetta. Attraversiamo una piccola spianata prima di riprendere a salire, si scopre sull’orizzonte verso Nord, in fondo ad una distesa di neve marcia interrotta da isole di erba arsa che ricorda la tundra, appare il profilo del monte Ocre; il leggero vento, l’aria ora più fina, il profilo dell’Ocre, ci sentiamo vicini alla nostra meta, cerchiamo la croce in vetta ma quel leggero piano inclinato che abbiamo davanti sembra non avere confine e termine. La direzione è a questo punto dettata dalla posizione della cima dall’Ocre, giriamo un po’ verso Est, incontriamo una spianata di rocce levigate e fratturate, sembra di stare su una enorme scacchiera, saltiamo da una roccia all’altra, singolare questo pezzo di montagna facile da percorrere ma che purtroppo finisce troppo presto. L’occhio, che sapeva cosa cercare, si imbatte nella parte alta del montante della croce, tutte le fatiche spariscono lentamente fino a diventare un ricordo quando, ormai sul ciglio della cresta, si spalanca una delle viste più belle (si dice sempre così) dell’intero Appennino (+ 1,50 ore dallo Sperone della Cavigliara). Io, contrario alle croci in vetta, amo quella del monte Cagno, la considero la più bella e importante dell’intero Appennino, almeno di quello che io conosco; suggestiva e massiccia nella sua estrema semplicità si esalta nella vastità degli orizzonti che si allargano poco oltre i suoi piedi. Favorevole la meravigliosa giornata dagli orizzonti vasti e puliti lo sguardo sembra non doversi più fermare, dai Sibillini alla Laga, ovviamente passando per la cordigliera del Gran Sasso fino alla Majella, al Sirente e all’infinità di elevazioni meno distinte del parco e dei Marsicani; alle spalle, giochiamo in casa, si allungano tutte le montagne del Velino, verso Nord e ad Est, la parete precipita sulla vasta piana delle Rocche quasi 1000m. più in basso, oggi catino innevato dove si esaltano le linee dei rettilinei delle strade, i filari di alberi spogli e i tanti paesi che formano questa comunità montana. La bellezza infinita ha tante facce, una è sicuramente quella che una bella giornata invernale su una bellissima e panoramica vetta può regalarti. Il vento freddo che spira da Est non ci impedisce di sostare in vetta per una ventina di minuti, dobbiamo coprirci e ricoprirci ancora ma è così bello che non vorremmo mai riscendere. Dopo la lunga sosta e la stanchezza della salita che si è ridotta ad un lontano ricordo è forte la tentazione di raggiungere l’Ocre, da qui sembra vicino ma per esperienza sappiamo che è solo una prospettiva, l’anello si allungherebbe ed insieme le ore di cammino, ci rinunciamo e riprendiamo la via del ritorno. Mentre salivo avevo cercato le vie più agevoli per scendere, incurante della distanza avevo dato la priorità alle linee di discesa più semplici, per scongiurare le difficoltà di eventuali tratti ghiacciati e per evitare momenti troppo ripidi. Rispetto alla linea di salita mi allargo verso Nord-Ovest, seguendo i dislivelli della montagna l’intenzione era quella di evitare la pur minima salita, almeno fino all’inevitabile confluenza nella valle Cannavine. Non è stato un esercizio difficile, la conformazione del terreno è di facile lettura, traversando da una piccola dorsale all’altra scendiamo veloci, solo qualche tratto in cui la neve si è accumulata ci rallenta un po’ e in 50 minuti siamo dentro valle Cannavine, esattamente dove per una manciata di metri si è costretti a risalire una sella per raggiungere l’ultima spianata che anticipa la discesa su Forcamiccia. Intercettiamo stavolta il sentiero, una moltitudine di orme sulla neve lo disegna senza ombre di dubbio, scorre alto sulla stretta valle dove eravamo sbucati la mattina, il cono di orizzonte contenuto tra lo Sperone della Cavigliera e la più lontana Serralunga creano una fotografia, che anche se ormai ci eravamo abituati, continua a sorprendere per la sua bellezza: la bianca piana delle Rocche è il fondo di un catino contenuto dal possente ed ora in ombra muro del versante Nord del Sirente e da quello luminoso, innevato, lontano della Majella. Tagliando il versante del Cefalone, prima allo scoperto e poi per un breve tratto dentro un bosco silenzioso ed affascinante atterriamo agevolmente sulla sella di Forcamiccia (+1,20 ore dal Cagno), raggiungiamo Campo Felice all’imbocco della galleria nei cui pressi eravamo parcheggiati 30 minuti dopo. Molte anche se non tante le auto ancora parcheggiate nei piazzali, alcune piste, poche e nella parte bassa innevata artificialmente, erano aperte, molti i bambini con gli slittini e nelle piste baby, tanti i genitori spaparanzati al sole. Per fortuna, perché un tavolo ci aspettava alla Capannina e senza aver prenotato. Il pranzo è servito, l’antipasto è stata la leggerezza e la bellezza della beata solitudine della salita al Cagno, per qualche motivo che non so distinguere, una delle montagne che ha un posto speciale nel mio cuore.